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[Incontri di approfondimento] Museo Poldi Pezzoli - "L'altro lato del gioiello: tecniche e materiali"

20/02/2017

Arriviamo alla terza rassegna dedicata alla storia dell'alta gioielleria. In questa occasione parla Lia Lenti, storica dell'arte del gioiello, che si sofferma sull'importanza delle tecniche orafe che possono definire in un gioiello, sia la tipologia di lavorazione che garantirne la qualità estetica.

Pavè, Doublé, Granulazione, binario battuto... innumerevoli tecniche e stili per ricondurre l'oggetto al periodo storico di riferimento e all'artista che l'ha creato. 

Avviso al lettore: si è voluto appuntare la quasi totalità dell'incontro, per garantire una visione il più possibile completa dell'evento [tempo di lettura: 10 minuti].

L'altro lato del Gioiello - Lia Lenti

Il gioiello andrebbe visto al rovescio per capire come è fatto e comprenderne la totale bellezza e complessità. Per cogliere le caratteristiche tecniche del gioiello bisogna osservarlo in macro e da entrambi i lati, soprattutto da dietro, ecco perché il titolo dell'incontro scelto da Lia Lenti, "L'altro lato del Gioiello". Osservando il retro dei gioielli si capisce con quale tecnica e qualità è stato realizzato. Solamente guardando il retro è possibile cogliere le capacità tecniche del gioiellere: stile, disegno, perfezione tecnica.

Tecnica Doublé (o lamina doppia)

 

[Nell'immagine: tecnica del doublè – Collana “a résille” (particolare), Settepassi, Firenze 1905, oro rosa, argento, diamanti, zaffiri]

Quando troviamo questa tecnica di può azzardare una datazione in quanto la tecnica del Doublè è molto antica ed era ancora in pratica a inizio '900. Tecnica usata solo in botteghe che ricercavano uno stile di gioielleria tradizionale. La lamina doppia nasce a inizio XVII secolo. Nel Seicento il diamante veniva tagliato in modo irregolare. La luce del diamante veniva risaltata con l'argento perché è uno dei metalli con l'indice di riflessione più elevato. Il difetto dell'argento è però quello di essere fragile e di ossidarsi e nel tempo l'ossidazione limita lo splendore della pietra. Per questo motivo gli abili orafi iniziarono a foderare il retro dei gioielli con una lamina di oro rosè o giallo (come si vede in foto gli archetti sono sopra in argento e sotto in oro rosa), ecco perché venne chiamato Doublè o lamina doppia.  L'oro veniva messo sul retro del gioiello, a parte in alcuni punti dove veniva deciso di farne il protagonista per esaltare il colore delle pietre (ad esempio in foto zaffiri blu sono incastonati in oro per scaldare il colore). L'oro veniva utilizzato per “correggere” il colore delle pietre preziose (es. diamante con oro giallo prende un colore paglierino).

Incastonatura A' jour (a giorno)

Nella gioielleria dei primi del '900 e soprattutto nell'art decò il metodo di incastonatura cambia, gli orafi iniziarono ad usare l'incastonatura à jour (a giorno). Passaggio da incastonatura a notte, dove la pietra veniva chiusa in una “scatola” a incastonatura a giorno, “scatola” aperta per far arrivare più luce possibile alla pietra da diversi angoli. Facendo arrivare al padiglione (parte appuntita) della pietra più luce si ottengono straordinari effetti di lucentezza. Gli orafi quindi iniziarono a lavorare il castone con più accuratezza, aprendolo e rimodellandone le punte.

Tecnica Pavè

[Nell'immagine: incassatura a pavé e a griffe – Diadema, Musy, Torino fine XIX- inizi XX sec., oro giallo, argento, diamanti]

Pavè significa disporre le pietre a pavimento. I Musy erano i gioielleri più abili, influenzati dalla tradizione francese.
Il Pavé era una tecnica aristocratica come il Doublè. Tramite la tecnica pavé gli orafi ricoprivano il metallo delle pietre. Inizia a diventare molto importante l'uso di una tecnica precisa anche per il retro del gioiello che doveva essere regolarizzato e accurato come il davanti per dare un senso di ordine.
All'interno di ogni foro, dove in un secondo momento andranno adagiate le pietre, l'orafo passava il filo di sega per perfezionare il buco. Le punte che otteneva forando sono le stesse che tenevano la pietra. Con abile maestria l'orafo le regolarizzava col bulino, uno strumento apposito. Tramite il bulino l'orafo alzava i baffetti del metallo e con un altro strumento, il perual, li arrotondava uno ad uno.
Una rifinitura che veniva fatta col bulino venne chiamata taglio lucido: l'orafo lucidava col bulino tutti i baffetti arrotondandoli. 

Tecnica à jour e pavè

[Nell'immagine: Tecnica à jour e pavè visto dal retro del gioiello nell'art decò – Spilla trasformabile in pendente, Veneziani, Milano anni Trenta, platino, diamanti]

L'art decò fu caratterizzata dai disegni geometrici, e di conseguenza ci fu una regolarizzazione geometrica anche sul retro del gioiello. Negli anni '20 le pietre iniziarono ad essere tagliate geometricamente, come si può notare ad esempio sul retro della spilla di Veneziani. Tagli pietre a spigoli vivi (quadrati, rettangoli). Il gioiellere per seguire uno stile era obbligato a seguire tecniche di incastonamento precise. Anni '30 iniziarono a inserire le curve nei tagli delle pietre.

Tecnica a binario battuto

Negli anni '20 vennero perfezionate alcune tecniche e inventate delle nuove. Ad esempio venne inventata la tecnica di incastonatura del binario battuto. Questa tecnica veniva utilizzata soprattutto con carrè e baguette, perchè i quattro angoli permettono di affiancare le pietre.

[Nell'immagine: Incassatura a binario e milligrana – Spilla, Melchiorre, Valenza 1925-1930, platino, diamanti, smeraldi]

Come si può notare in questa spilla gli smeraldi verdi sono messi in fila uno dopo l'altro, costa a costa uniti fra loro, e sono chiusi con strisce di metallo. Il platino è stato battuto tutto intorno con una “bacchetta” chiamata battitore che permette la realizzazione della milligranatura, ovvero quelle “palline” che seguono la linea delle pietre. La milligranatura veniva realizzata con lo strumento milligrano, che era una rotellina che passando lasciava piccoli milligrani. Inoltre nella spilla ci sono degli spazi di traforo dove è stato asportato il metallo facendo passare il filo di sega.

[Nell'immagine: spilla Scorpione di Frascarolo, con diamanti e rubini cabochon]

Nella spilla scorpione Frascarolo usò la tecnica a Pavé ma con incastonatura che dona un disegno alla pietra, come se fosse formato da “fogliette”, simulando le squame dell'aracnide. Il metallo attorno alle pietre viene lavorato per dare un disegno preciso ed è indice di grande abilità dell'orafo. Rifinitura fatta non solo con granette ma anche con foglioline. L'incastonatore decide che tipo di bellezza e naturalezza dare al gioiello. Questo gioiello scorpione è tecnicamente molto complesso: le chele e la coda sono tutti elementi mobili separati e immagliati l'uno all'altro.

Filigrana e Granulazione

[Nell'immagine: collana in oro giallo con pendenti di ascione]

In questa collana sono unite le tecniche della filigrana e della granulazione. Quest'ultima ha caratterizzato l'oreficeria italiana. Armonia ottenuta con fili lisci e lavorati che vengono illuminati da piccole sfere di metallo.

[Nel'immagine: esempi di fili di filigrana]

La filigrana è esclusa dalla punzonatura perchè i fili sono troppo leggeri, si rovinerebbero.

[Nell'immagine: esempi di granulazione]

La granulazione può essere a coronamento, a riempimento, a pulviscolo.

[Nell'immagine: spilla di Castellani con fiore centrale]

Esempio di granulazione a riempimento e a pulviscolo.

[Nell'immagine: la tecnica della filigrana utilizzata da Orisa]

Sublime uso della filigrana che diventa la vera protagonista. La filigrana viene rivitalizzata.

Lavorazione di pietre

[Nell'immagine: spilla di Codognato]

Il corallo può essere lavorato in sfere, gocce, a intaglio nei cammeo. Codognato fu un gioielliere veneziano di alta classe. Uso magnifico dei cammei che tappezzano tutta la superficie.

[Nell'immagine: moretto di Codognato]

I cammei venivano realizzati su pietre dure tramite disegni a rilievo.

[Nell'immagine: Pendente, Alfredo Ravasco]
Il cristallo di rocca è una pietra tipicamente italiana, come il corallo. Nella meravigliosa spilla di Ravasco il cristallo di rocca viene lavorato ad intaglio sul retro. Lavorazione della pietra con incisione a incavo.

I marchi

[Nell'immagine: Doppia clip (verso e recto) Alfredo Ravasco, Milano 1935 circa, oro bianco, brillanti, rubini]
Dal retro del gioiello si hanno informazioni fondamentali riguardo i gioielli: marchi di titolo, di identificazione o le firme.
Dopo il 1935 iniziamo a trovare i primi marchi. Nel marchio di questo gioiello di Ravasco vediamo: 44(fascio littorio) MI =il simbolo del fascio littorio ci indica che il gioiello venne fatto tra il 1935 e il 1941, perchè nel 1946 venne sostituito con la stella italiana. MI sta per Milano e 44 era l'identificazione di Ravasco. Oltre al marchio di identificazione si può trovare il marchio di titolo, ovvero la firma dell'orafo e la purezza del metallo espressa in millesimi o in carati.

[Nell'immagine: marchio Modele Depose]
Un esempio completo dei marchi si trova sul retro di alcuni gioielli di Frascarolo. Alcuni riportano numerose indicazioni:
Made in Italy =realizzato in Italia per gli Stati Uniti, prodotto per eccellenza di esportazione; 750/18k =indicazione anche tramite i kt per la legislazione degli Stati Uniti; FC = Frascarolo, firma con logo.

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